mercoledì 15 gennaio 2014

Rosa Speranza

Sono mesi e mesi ormai che mi dedico al giardinaggio, in vaso per il momento, (eehhh.... al giardino ci pensa il giardiniere!) cercando di coltivare il basilico e il rosmarino. Lo so, lo so, mi hanno detto tutti che queste piante crescono da sole, che non c'è bisogno di curarle, e che praticamente è impossibile ucciderele. Tant'é, le mie sono morte tutte! Per cause naturali, povere piantine. O per malnutrizione? Maltrattamento? Mancaza di amore? Povera me! La scena, tra l'altro, si ripete sempre uguale. Compro la piantina (nel vaso), la metto in giardino di modo che prenda un po' di sole e la bagno regolarmente, le parlo, la incoraggio, “Vedrai, questa volta sarà diverso!" Ma dopo qualche settimana la piantina inizia intristirsi, cambia colore, fino a seccarsi. Muore. 

Perchè insistere allora? Evidentemente ho altri talenti. Ma il rosmarino! Nemmeno una piantina di rosmarino sopravvive in casa mia. Mi accorgo così che è diventata una sfida personale, una parabola che descrive questi ultimi anni. Come si dice che dicano in alcuni ambienti riabilitativi, il primo step è una piantina: se riesci a prendertene cura sei pronto per lo step successivo, un animale domestico. Se riesci a prenderti cura dell'animale, sei pronto per lo step finale: prenderti cura di un'altra persona. Ecco, sto cercando di provare a me stessa che sono pronta per il prossimo step (non letteralmente, non voglio un animale domestico!), e questi continui fallimenti non sono proprio la risposta che vorrei...

Delusa dalle piatine per la cucina, mi do ai fiori. Mia mamma, quando è venuta a trovarmi, ha riempito vasi di fiori e piante. Che sono tutti morti pochi mesi dopo la sua partenza. Ma sono rimasti i vasi. Ci vuole una pianta facile facile. Il ciclamino, penso. Quello rosso vive qualche settimana. Muore poi disidratato. Morte orribile. Quello bianco è più fortunato: resiste per qualche mese. Devo essere sulla strada buona. Decido così di rischiare: gerani rosa e pure un ciclamino rosa. Questa volta compro della terra buona, leggo bene le istruzioni, e sono fedele nella cura. Qualche mese dopo eccoli entrambi in fiore all'ingresso. Tutte le volte che esco o entro in casa e li intravedo, mi sale un sorriso alla bocca. Bellissimi. E soprattutto, ce l'ho fatta! Sono pronta per il prossimo step!

Arriva il momento di partire per le vacanze. Sono mesi ormai che i miei fiori rosa mi tengono compagnia rigolgiosi all'ingresso. Li sposto in giardino, dove verrano bagnati dal giardiniere durante la mia assenza. Torno dopo parecchie settimane e subito controllo il loro stato.  Il ciclamino vive (è davvero una pianta facile!), ma i gerani sembrano malati. Ne parlo subito con mia mamma, che conferma. Farfalline nere ovunque. Cosa faccio? Non ci sono insetticidi che funzionino in questo caso. Mia mamma mi suggerisce di tagliare via tutto, violentemente, sperando rifioriscano fra qualche mese. Ma potrebbe non accadere. Aiuto! Dopo tutta questa fatica, e illusione di aver fatto un passo avanti, mi viene un groppo alla gola quando, forbice in mano, condanno a morte i miei gerani. Ma sembra essere l'unica soluzione. E così taglio, taglio, taglio via tutto. Rimangono i gambi e poche foglie. Questa volta non ho fallito. Ho perso. Per quanto fossi pronta. 


Passano le settimane e non succede nulla. Io continuo a parlare coi miei gerani, porto loro acqua in abbondanza, e spero. Arriva il freddo, e anche le ultime foglie cadono. Natura spietata, penso. Per cosa mi sono impegnata dunque? È questa la legge della vita? È questo il fine? Cammino comunque verso la sconfitta? 

Sembra la parabola della lotta mia e di mio marito contro la malattia che mi impedisce di concepire. Bassi, poi alti, ma per sprofondare poi nell'abisso. Mi sento così stanca. Scoraggiata. Sconfitta. Al punto di non guardare nemmeno più i miei fiori quando entro ed esco di casa. 

Per questo motivo la sorpresa è ancora più grande quando un bel giorno mi accorgo che c'è del rosa: un piccolo fiore rosa sta iniziando ad aprire i suoi petali nel vaso all'ingresso, circondato da altri germogli pronti ad aprirsi al sole. Sono senza parole! Felice! Estatica! Mi fermo a contemplarli ogni giorno nella loro perfezione e voglia di vivere. Hanno vinto.

Sono solo fiori, è vero, ma in fondo sono molto di più: sono il colore e la forma della speranza. Non ho perso. Nonostante tutto, la vita ha vinto, germoglia e fiorisce. La natura risponde ad un Dio buono.





venerdì 10 gennaio 2014

Dov'è finito Margherita?

Ho lasciato la paffuta Margherita in un angolo del grande giardino dove è stata liberata, domandandomi se sarebbe stata bene in quel nuovo posto, dove vive libera, o se avrebbe rimpianto la sua piccola gabbia, dove è cresciuta e dove ogni giorno il suo padroncino andava a trovarla chiamandola per nome. 

I miei nipoti sono andati a trovarla, ma non sono riusciti ad avvicinarsi, a volte nemmeno a vederla. Corre e si nasconde, insieme agli altri conigli incontrati nel grande giardino. Sembra star bene, essersi fatta nuovi amici. Sembra anche aver dimenticato il suo nome. Forse, dopotutto, aveva ragione mio marito... Ma come può essere cambiata tanto?

Prima di trasferirmi in California ho sempre trovato piuttosto facile giudicare il cuore delle persone che mi stavano accanto, vicine o appena incontrate. Misurarne l'ampiezza e la profondità, la sincerità, il coraggio e le ferite. Senza margine di errore. Spesso queste misure si traducevano poi in una scala di valore: il suo cuore vale tanto, quello di lei, un po' meno. Il loro proprio poco. Punto e a capo. Ultima parola. 
Poi sono atterrata in America.
Dopo qualche mese passato a trovare la strada per uscire dalla nebbia inevitabile che un cambiamento così grande porta, ho iniziato a guardare. E mi sono accorta che forse vedevo male, non prestavo abbastanza attenzione. Vedevo un pezzo di cuore, e credevo invece che fosse tutto. Soprattutto vedevo ma non mi interessavo, non interrogavo sinceramente, non prendevo a cuore, appunto. 
Dunque? 
Dunque ho imparato che il cuore è smisurato, ricco, contraddittorio a volte; cambia e cresce, si allarga, abbraccia, dona, soffre, punisce. Ho imparato che è forse la cosa più amabile che mi venga continuamente offerta, qui, come ovunque vada. Ho imparato a non giudicarlo, di più, ad osservalo con benevolenza, ad essergli amica. E mi ritrovo così a tavola con persone a cui non avrei mai creduto di potermi interessare curiosa e contenta. 
Dunque ho imparato una parola nuova: appreciation.


Certo se avessi saputo la fatica che costa essere arrivata qui non so se sarei partita. Per fortuna la vita si svela piano piano. Così come il cuore. Anche quello della paffuta Margherita, così cambiato, o forse, semplicemente, svelatosi nel tempo!